di Raffaella Miliacca
Il Salone del Libro è anche occasione di dibattito e riflessione su temi sociali, civili, politici, e questi momenti sono spesso i più affollati. E’ stato così per l’incontro con il costituzionalista Gustavo Zagrebelsky e il direttore de “la Repubblica” Ezio Mauro, chiamati a parlare di democrazia, dopo l’uscita del libro scritto a quattro mani “La felicità della democrazia”, edito da Laterza.
Introducendo la conversazione, Marco Revelli, docente di Scienze Politiche a Torino, sottolinea la crescente distanza tra l’ideale della democrazia e le forme che la stessa si dà. La democrazia, dice Zagrebelsky è una nozione “compiacente”, tanto che oggi tutti si dichiarano democratici. Questo vuol dire che la parola comprende tante cose. Nel corso della storia la democrazia è stata una richiesta degli esclusi, spiega, oggi risuona di più nelle parole di chi sta al potere, viene assorbita dalle oligarchie che sempre tendono a formarsi. Ma possiamo considerarci in democrazia fino a quando disponiamo degli strumenti per contrastare le oligarchie, ossia la libertà di opinione, la libertà di stampa, l’indipendenza della magistratura, l’associazionismo diffuso, tutti mezzi per esercitare controllo sui poteri.
La democrazia è ormai accettata da tutti, afferma Ezio Mauro, quindi l’attenzione si deve spostare dal piano dei principi alla materialità, alla sostanza. E il tema del lavoro, secondo Mauro, è fondamentale tra quelli della democrazia. Il lavoratore è scomparso dal nostro orizzonte, dice, si parla di mestieri, di delocalizzazione, la parola “produttore” si nasconde dietro quella di “consumatore”. Abbiamo guardato alla globalizzazione come una grande occasione che rende tutto accessibile, contemporaneo, per poi accorgerci che sarebbe entrata resettando tutti i diritti,aggiunge, e la risposta del capitale alla globalizzazione, alla competitività è stata: diritti in cambio del lavoro. Alcuni diritti diventano una variabile indipendente, eppure fanno parte del contesto democratico in cui viviamo, sono il frutto di battaglie, di scambi negoziali con la controparte, quelle conquiste riguardano tutti, afferma Mauro.
Siamo in un momento in cui la politica è spenta, conclude Zagrebelsky, abbiamo perso la dimensione pubblica, ci si limita ad amministrare l’esistente. Sono morte le ideologie, ma è venuta a mancare la capacità di pensare in grande. La competizione politica è sempre più competizione personalistica. Se vogliamo ripristinare la politica come forma d’impegno per l’interesse comune, dobbiamo ricostruire le grandi alternative di tipo politico, uscire dall’amministrazione dell’esistente o al più dall’occupazione del potere.