di Maurizio Righetti
“Fai attività fisica e alimentati in modo più regolare”. Così, fino a 20 anni fa, si diceva ad un paziente che aveva la glicemia a 150, la pressione massima a 140 e 230 di colesterolo. E magari era anche in sovrappeso. Non si può sostenere che quelle prescrizioni corrispondessero a dei palliativi. Ma le evidenze cliniche hanno dimostrato che quei livelli, se protratti nel tempo, qualche problema lo possono arrecare e che, comunque, se si vogliono evitare complicanze cardiovascolari, “più bassi sono i valori e meglio è”. Quindi oggi resta sempre validissimo il messaggio dello stile di vita e della dieta, ma è altrettanto importante portare subito a target glicemia, pressione arteriosa e colesterolo. Il parametro che crea più difficoltà di controllo, anche psicologico, è quello della glicemia perché il paziente sa di certo (e lo sanno, ovviamente, anche medico e specialista) che è meglio non averlo alto, ma spesso si aspetta troppo prima di intervenire ed inoltre esiste il problema, che non va sottovalutato, che quanto più cerchiamo di abbassare la glicemia tanto più rischiamo, se il paziente non è ben istruito e a seconda del farmaco usato, la crisi ipoglicemica (abbassamento rapido del glucosio nel sangue). In questa direzione aiutano molto i farmaci di ultima generazione (le incretine) che hanno il vantaggio di essere “intelligenti” (agiscono, cioè, solo quando la glicemia è alta) e, in più, possono aiutare a perdere peso.
Oggi in Italia ci sono tre milioni di diabetici
“Che nel settore ci sia da lavorare, lo dicono i dati”, afferma Franco Tuccinardi, primario di Diabetologia nell’ospedale di Gaeta (LT), presidente dell'Associazione dei Medici Diabetologi del Lazio. In effetti, oggi in Italia ci sono circa tre milioni di diabetici e negli ultimi dieci anni c’è stato un incremento di pazienti pari più o meno ad un milione di unità. A determinare l’incremento ci sono obesità (in Europa Occidentale oltre l’80% dei casi di diabete ha questa origine), stile di vita sedentaria, allungamento dell’età media, maggiore riconoscibilità della malattia grazie a nuovi strumenti terapeutici ed ad una accresciuta informazione e conseguente consapevolezza (ma tuttora quasi un milione di persone ha il diabete e non sa di averlo). Oggi nel nostro Paese ci sono 17,6 milioni di adulti in sovrappeso e 4,9 milioni di obesi; ogni anno il diabete viene diagnosticato a 250-300 mila soggetti; 70-80 mila persone soffrono di attacchi di cuore a causa del diabete. Qualità della vita, parametro essenziale troppo spesso dimenticato.
“Il diabete - spiega Tuccinardi – se non opportunamente gestito può diventare un problema per la quotidianità del paziente: controlli continui della glicemia, attenzione alla dieta, gestione della cura, ansia per la possibile comparsa delle ipoglicemie. Tra i parametri del buon controllo del diabete, accanto alla emoglobina glicata, alla pressione arteriosa, al colesterolo, a non comparire è proprio la ‘qualità della vita’ del paziente che è invece un elemento importante di autostima per motivarlo a trattare meglio la sua patologia. Dobbiamo preoccuparci,quando prescriviamo una terapia al nostro paziente, di che impatto avrà sulla sua ‘qualità di vita’ nel lavoro, in famiglia e nei rapporti sociali e quindi non tutti i farmaci che abbiamo a disposizione vanno bene per tutti”.
La personalizzazione della terapia
“Bisogna ‘personalizzare’ la terapia al paziente con il diabete – avverte Tuccinardi - tenendo ben presente l’impatto complessivo visto che parliamo di una malattia cronica, cioè di una condizione con cui dovrà convivere sempre. Personalizzare la cura significa che oggi abbiamo a disposizione tanti farmaci per la gestione del diabete che vanno opportunamente utilizzati in base al paziente che abbiamo di fronte se è giovane o se è anziano, se è obeso o se è magro, se la sua glicemia è alta a digiuno o dopo i pasti, se ha già complicanze legate al diabete, ma anche in base alle condizioni di vita o alle esigenze del suo lavoro. La tecnologia è un elemento di novità di fondamentale impatto
“Le tecnologie attuali e, in particolare, l’uso del microinfusore ed il sensore per il glucosio - specifica Tuccinardi - ci sono di grande aiuto per fornire al paziente un buon controllo della malattia e una buona qualità di vita. Questi strumenti possono determinare una maggiore flessibilità nella gestione della terapia e nell’orario dei pasti e se opportunemente utilizzati riducono il timore dell'ipoglicemia, uno dei fattori che condizionano maggiormente il benessere fisico e psicologico. La conferma di questa paura, causa peraltro di scarsa adesione alle terapie, è confermata da uno studio della Dawn-Italia: il 60% degli intervistati riferiva, infatti, una forte preoccupazione per l'ipoglicemia”. E a proposito di nuove tecnologie Tuccinardi illustra il senso del Documento di Consenso sulla prescrizione e gestione della terapia con microinfusori che è all’esame della Regione Lazio redatto dalle società scientifiche di diabetologi (AMD, SID, SIEDP):abbiamo proposto un documento che consenta un utilizzo adeguato e sicuro di uno strumento valido ma che va usato in modo opportuno. Chi usa il microinfusore deve essere istruito a dovere sul suo modo corretto di utilizzo tramite un vero e proprio corso di formazione che lo abiliti all’uso tramite certificazione del diabetologo. Solo così si possono ottenere i sicuri vantaggi sulla gestione del diabete con l’aiuto della moderna tecnologia.
“Valorizzare la cultura del team”
L'attività professionale e scientifica comporta talora anche l'impegno di rappresentanza: più che degli interessi di categoria, della sua fondamentale funzione sociale. Con Tuccinardi, per la prima volta, il ruolo di presidente regionale del Lazio della Associazione Medici Diabetologi viene ricoperto da un non romano. Per di più con l'appuntamento, già delineato, del XIX congresso nazionale dell'AMD, che si svolgerà nella capitale a maggio del 2013. Ma quali sono i punti qualificanti del programma? “Coinvolgimento dei soci, grande attenzione allo sviluppo tecnologico, ma soprattutto - rimarca Tuccinardi – diffusione e valorizzazione della cultura del lavoro in team, uno degli aspetti specifici del lavoro del diabetologo. Proseguiremo nella strada già intrapresa dai predecessori, ma punto ad un maggiore coinvolgimento 'attivo' di tutti. Che significa operare insieme a servizio della comunità diabetologica”.
Agire in maniera coordinata su formazione, dieta e attività fisica, gestione della tecnologia Nel concreto, chiediamo, che vuol dire, e che valore ha, lavorare insieme? “La specificità di chi cura una malattia cronica come il diabete - sottolinea Tuccinardi – è quella di organizzare una squadra che riesca ad intervenire su tutte le necessità della persona con diabete e cioè esigenze formative, informative e terapeutiche multiple che si evolvono nel corso del tempo. La risposta non può e non deve essere data solo dal medico, ma da un gruppo di persone che agisce in maniera coordinata sulla formazione, sulla dieta e l'attività fisica, sull'uso appropriato dell'autocontrollo e sulla gestione delle moderne tecnologie. La cultura del team è vincente non soltanto per curare efficacemente il paziente diabetico, ma anche come specificità e ruolo 'politico' perché il diabetologo, come professionista capace di organizzare e gestire un percorso, diventa insostituibile”.
Nella foto in alto il professor Franco Tuccinardi, presidente regionale AMD Lazio