L'Europride nella Roma di Andrea Pini


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La marcia dei colori dopo il silenzio

Intervista all’autore di 'Quando eravamo froci' h

di Laura Mandolesi Ferrini

Europride, orgoglio gay, marcia internazionale, festa romana, suoni, colori, Lady Gaga, polemiche, e ancora musica, eventi, concerti. All'appuntamento con il Gay Pride ci siamo ormai abituati, tanto da non riuscire nemmeno a definirlo con esattezza. C'è. Succede. Fa parte del calendario delle celebrazioni nelle nostre principali città. Ci vanno anche gli etero, le famiglie, gli adolescenti, gli immigrati. I turisti fotografano. Quest'anno, ci sarà anche la diretta di Rai (Rainews). Eppure, non molto tempo fa, tutto questo non esisteva. Prima, anche solo parlare di omosessualità era impensabile. Andrea Pini, insegnante, scrittore, e militante nel movimento gay, è andato a investigare cosa succedeva in Italia prima degli anni ’70, anni in cui le prime contestazioni uscivano allo scoperto. Ha raccolto venti testimonianze in un libro, “Quando eravamo froci”, edito dal Saggiatore. Un libro “illuminante, importante”, scrive Natalia Aspesi, che nella prefazione ci fornisce lo sguardo e il vissuto delle allora giovani donne nubili, le improbabili fidanzate degli omosessuali negli anni ’60. A integrare le testimonianze, una robusta parte sulla storia dei gay in Italia dopo la Seconda Guerra Mondiale, con un capitolo sulla stampa dell’epoca e uno sulla vita pubblica e privata. Insieme, la parte storica e quella dedicata alle interviste, svelano le varie circostanze del vissuto, i momenti finora inconfessati, e l’atmosfera intima e celata degli incontri. Ciò che più coglie impreparato il nostro sguardo viziato è forse il penetrante silenzio che avvolgeva quegli attimi. Un silenzio di complicità, di paura, di segretezza che, di fronte al prepotente incanto dei Gay Pride di oggi, ci appare ancora più spaventoso.

Andrea Pini, risponde qui alle nostre domande.

D: Questo è un anno importante per chi vive la cultura gay in Italia. Celebrare l'Europride a Roma, sarà ancora più che una festa, un riconoscimento decisivo. Cosa fare affinché non rimanga un episodio concluso?
Pini: L'importanza di questo Europride sta già nel suo nome: è la parata dei cittadini omosessuali d'Europa, che quest'anno hanno scelto l'Italia e Roma come luogo di incontro per essere visibili e per chiedere parità. Non è un caso che la sede sia l’Italia, uno dei Paesi d’Europa più arretrati in tema di diritti e in tema di inclusione di gay, lesbiche e trans. L’unico dei 6 Paesi fondatori UE a non aver adottato né leggi per la tutela delle persone GLBTQ (gay, lesbiche, bisessuali, trans, queer), storicamente discriminate e oggetto di omofobia, né leggi per il riconoscimento giuridico (e quindi anche culturale e sociale!) delle coppie. Poi c’è anche l’arretratezza del discorso sulla omogenitorialità e sulle adozioni ai single e a GLBTQ. Il da farsi viene di conseguenza: applicare i Trattati europei (Nizza e Lisbona) promulgando leggi punitive contro l’omofobia e leggi a favore del matrimonio omosessuale, parificandolo come è stato fatto nella cattolica Spagna. Poi c’è il discorso culturale che dovrebbe uscire dalle ovvietà televisive da operetta ed entrare nel vivo del problema, affrontando il grande tema dell’omofobia, a partire dalle scuole elementari coinvolgendo tutto il mondo dell’istruzione, un mondo fatto di piccoli e di giovani prontissimi a recepire modernità ed anche di adulti in parte portatori di una cultura arretrata.

D: Professor Pini, quest'anno è anche uscito il suo libro: "Quando eravamo froci", che svela la storia nascosta degli omosessuali italiani nel primo dopoguerra. Uomini "insospettabili", colti e raffinati si raccontano e ci raccontano un mondo che molti giovani non hanno mai conosciuto.
Pini: Mi sono occupato di un pezzo di storia d’Italia nascosta, a partire dal ’45 fino agli inizi degli anni ’70, cioè dalla nascita della Repubblica democratica, con la sua avanzata Costituzione fino alla “rivoluzione” dei costumi coincisa con il ’68, il femminismo, il divorzio, la nascita del movimento gay italiano (1972). La Costituzione prevedeva e prevede nel suo articolo 3 un dettato importantissimo: È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Non lo ha fatto allora e non l’ha fatto ancora! E i peggiori anni sono stati proprio i decenni ’50 e ’60, zeppi di episodi di repressione, arresti, processi, censure, diffamazioni a danno di alcuni omosessuali illustri (Pasolini, Giò Stajano, Aldo Braibanti, Visconti, Testori, ecc.) e di migliaia di omosessuali comuni. Si è trattato di un complesso sistema repressivo attuato da magistratura, polizia, partiti politici, Chiesa cattolica, strutture familiari, manicomi, che si è basato su un’idea anti-umana dell’omosessualità come vizio e malattia (o peccato). Ho anche intervistato 20 meravigliosi signori che oggi hanno tra i 70 e i 90 anni e che raccontano quegli anni dal loro punto di vista, facendoci scoprire una cosa non scontata: nonostante tutto si sono divertiti, hanno trovato spiragli e spazi circoscritti nei quali il sesso omoerotico era possibile e diffuso. Un mondo molto unisessuale (le donne relegate in casa, senza corpo, senza voce) nel quale il gioco omoerotico era trasversale e a prescindere della differenza etero-gay, un mondo pagano e pieno di avventure che rimanevano però sempre, sottolineo sempre, senza nome. Fare e non dire, questa era la regola da non trasgredire mai. E quindi tanto sesso omosessuale ma solo quello: niente riconoscimenti, niente dignità, niente progetti e futuro per i giovani froci di allora.

D: Nel suo testo spiega che i primissimi Gay Pride segnarono una sorta di spartiacque fra un prima e un dopo. Un prima in cui non era ammesso neanche parlare della propria sessualità e un dopo, in cui la "questione" è esplosa.
Pini: Con la nascita del movimento gay inizia un percorso di cambiamento molto netto: un prima con “froci” cui non era riconosciuta nessuna dignità, e un dopo con gruppi di gay politicizzati che hanno cominciato a imporre una figura di gay positiva, rivendicativa, consapevole di sé, il gay moderno che non si nasconde più e scende in piazza a viso scoperto. Tutto è iniziato a New York con la rivolta di gay, lesbiche e trans contro i soprusi della polizia: era il 28 giugno 1979 e da quel giorno, ogni anno, quella data rimane la data simbolo dei Pride in tutto il mondo. In Italia per avere una vera e propria parata bisogna aspettare addirittura il 1994, ma il movimento gay nasce tra il ‘71 e il ‘72 e la prima uscita pubblica è la contestazione contro un convegno di sessuologia (che aveva intenti dichiaratamente omofobici) a Sanremo. Poi ci sono state molte e varie manifestazioni, come la prima marcia contro la violenza antigay a Pisa, del novembre 1979. L’Europride di oggi non è che il proseguimento di quelle proteste pionieristiche ed è assolutamente necessario, importante e credo che sarà utile: i numeri parleranno da soli!

D: Il libro affronta anche tematiche legate alla legislazione. Se in molti Paesi, europei e non, era previsto un vero e proprio reato di omosessualità, in Italia invece il controllo passava attraverso i reati più generici. Una differenza che può sembrare sottile ma che non ha impedito la repressione. In cosa siamo diversi noi, sotto questo punto di vista?
Pini: La differenza principale è che tutti i Paesi Nord europei hanno avuto una legislazione anti-omosessuale, nata con la patologizzazione dell’omosessualità, a partire dalla seconda metà dell’800. L’Italia, invece, sin dal 1870 non ha mai avuto leggi punitive, affidando il controllo sociale-sessuale al senso comune e a Chiesa e famiglia, e questo anche durante il fascismo. Quando si sono sviluppate le democrazie del dopoguerra, lentamente, tra gli anni ’60 e ’70 Germania, Francia, Inghilterra, Svizzera, Olanda, ecc, hanno abolito quelle legislazioni, anche sotto la spinta di movimenti omofili già presenti nella cittadinanza. L’eliminazione dell’omosessualità come malattia da parte dell’OMS (1990) ha poi agito positivamente su medicina e psichiatria, aprendo definitivamente la strada ad una legislazione positiva e inclusiva. In Italia questo percorso non si è mai compiuto. Anzi è continuata per decenni la pratica ipocrita del “si fa ma non si dice”, limitando da una parte l’agire di un movimento gay in apparenza privo di obiettivi definiti (come si fa a combattere contro il senso comune?) e dall’altro permettendo alla società, che faceva finta di non vedere, di eludere il nodo dell’omofobia sociale e culturale, che invece riguarda tutti, istituzioni e corpo sociale. Il livello di civiltà di un Paese, è stato scritto, si giudica da come quel Paese tratta le sue minoranze, e l’Italia ha ancora molto da farsi perdonare dai concittadini omosessuali.

Andrea Pini, “Quando eravamo froci. Gli omosessuali nell’Italia di una volta”, Il Saggiatore, 2011, prefazione di Natalia Aspesi.