Giornata Aids / La ricerca in Italia


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Io, sieropositiva da più di 20 anni

Intervista a Barbara S., ex tossicodipendente, affetta da Hiv

di Elisabetta Marinelli

Barbara ha 48 anni e vive in provincia di Milano. Ex tossicodipendente, ha scoperto di essere affetta da Hiv nel 1986. Di Aids sono morti suo fratello e due amiche. A Televideo racconta la sua esperienza.

Come hai scoperto di essere sieropositiva?
Con il test. Ero tossicodipendente ed era necessario. Nell’86 si cominciava a diffondere la cultura del controllo e della prevenzione.

Come hai contratto il virus?
E’ capitato più di una volta che usassi la siringa di un’altra persona…credo che sia stato per questo…così come capita a tanti eroinomani…

Eri cosciente di quello che ti stava succedendo?
No… la mia reazione all’inizio è stata di totale incoscienza, anche perché mi facevo ancora e l’eroina ti toglie lucidità…è al centro dell’esistenza di un tossicodipendente. Ho vissuto per due anni ignorando completamente la mia condizione. A quei tempi poi l’informazione c’era, ma non certo come oggi. Si parlava di Hiv, ma si era all’inizio, non c’era ancora, almeno per me e per le persone che come me usavano l’eroina, un’idea precisa di cosa stesse accadendo e in quali proporzioni. Sembrava qualcosa di talmente lontano da noi…qualcosa che non ci poteva accadere…che non ci avrebbe riguardato…In realtà, quello che mi colpì di più quando lo seppi non fu tanto la mia, quanto la sieropositività di mio fratello…

Tuo fratello è morto di Aids
Sì, nel 1992. Ci siamo ammalati entrambi, ma lui non ce l’ha fatta. Dopo il risultato del test e dopo le visite parlai con il dottore che ci seguiva e mi disse che mio fratello avrebbe avuto al massimo due/tre anni di vita, mentre io ero “in una botte di ferro”. La differenza stava nelle condizioni fisiche e nei valori di replicazione del virus. Purtroppo il suo pronostico si è rivelato esatto.

Lui sapeva come sarebbe andata?
Lo ha capito abbastanza presto. Nel giro di un anno da che abbiamo avuto la notizia ha compreso quanto poca fosse la capacità del suo fisico di difendersi. Soprattutto, capì che i farmaci disponibili allora non servivano granché…A quel tempo se non avevi difese immunitarie di per sé abbastanza efficienti, il farmaco da solo poteva fare veramente poco…e lui era fragile…

Come ha vissuto in quegli anni?
Ha cercato di vivere nel modo più normale possibile. Era un ragazzo veramente pieno di vita…Ha continuato a fare le cose di sempre e ha affrontato la malattia così come la affronta un malato di cancro. Non c’è differenza. Come sia stato nel suo intimo più profondo, cosa abbia pensato nel suo profondo è qualcosa, però, che ha saputo solo lui…Ha sicuramente sperato di superare quei due o tre anni che poi avrebbero portato nuovi farmaci, ha sperato che la ricerca scientifica facesse in tempo…ma non è andata così…

Per te e per la tua famiglia cosa ha significato?
Ho vissuto con un senso di colpa enorme. Mio fratello e io avevamo commesso lo stesso errore, avevamo contratto lo stesso virus, ma non nello stesso modo. Non capivo perché a lui dovesse toccare la morte… Per la mia famiglia è stato un dramma uguale a quello di tante famiglie che perdono qualcuno a causa di una malattia terminale.

Cosa vuol dire essere sieropositivi?
Le persone che sanno della tua sieropositività hanno un atteggiamento di amicizia e di solidarietà compassionevoli. Capita, poi, di trovarsi accanto a persone che non lo sanno e che fanno commenti alle volte anche pesanti, colpendo involontariamente la tua sensibilità. E accade anche di essere ‘anticipati’ dalla propria sieropositività: conosci persone legate al tuo giro di amicizie e mentre stringi loro la mano capisci che sanno già. Da cose quasi impercettibili, ma lo capisci. In qualcuno percepisci un vero e proprio disagio. Certo oggi è molto diverso da 20 anni fa. Allora poteva succedere che le persone facessero fatica a starti vicino, oggi c’è sicuramente una cultura diversa. La maggior parte delle persone, grazie al cielo, ha capito che non si contrae l’hiv stringendo la mano o baciando la guancia di un sieropositivo. Personalmente, vivo la mia sieropositività pensando che oggi come oggi ci sono malattie altrettanto gravi e spesso incurabili. E i farmaci fanno la loro parte, tengono a bada il virus. Non penso più alla sieropositività come qualcosa di necessariamente mortale, insomma.

A proposito di farmaci contro l’hiv, quanta speranza riponi nella ricerca?
In passato quasi nessuna. Pensavo che sarei sopravvissuta qualche anno. Un po’ più di mio fratello, ma che il mio destino fosse segnato. Lo pensavo io e le persone che come me erano malate. E tanti di loro se ne sono andati. Oggi guardo con fiducia alla ricerca, ma mi chiedo anche quali e quanti effetti collaterali abbiano i farmaci antiretrovirali. Perché ci sono e sono anche pesanti.

Hai la speranza di guarire?
No. Non ho mai sperato in qualcosa che ci faccia guarire. La speranza è che nessuno corra più il rischio di ammalarsi. Dico questo, pensando a un vaccino contro l’Hiv.

(Il nome della persona intervistata è fittizio come pure la provincia in cui abita)