di Sandro CaliceISOLA 10
di Miguel Littin. Brasile, Cile, Venezuela 2009, drammatico (Nomad Film)
Benjamin Vicuna, Cristiàn De La Fuente, Pablo Krog, Jose Bertrand, Sergio Hernandez, Luis Dubò, Matias Vega, Horacio Videla, Alejandro Goic, Caco Monteiro, Andrei Skoknic, Elvis Fuentes, Pedro Villagra, Jose Martìn.
Ci sono luoghi che perdono la loro identità geografica per diventare una coordinata dell’anima: l’isola di Dawson, nello Stretto di Magellano, è uno di questi.
1973. Dopo il golpe di Pinochet in Cile, una trentina di dirigenti dell’Unidad Popular (la coalizione di partiti di centro-sinistra che sosteneva Allende) vengono trasferiti nel campo di concentramento di Dawson. La loro dignità dev’essere piegata e gli ufficiali del campo impongono che non esistano più nomi propri: ogni prigioniero si chiamerà con nome del capannone in cui dorme e un numero. Isla 10 è Sergio Bitar (Vicuna), ministro del governo Allende, che dopo un anno di reclusione venne liberato insieme ai suoi compagni con l’aiuto dell’Onu, della Croce Rossa e di leader come Ted Kennedy, e che su quell’esperienza scrisse il libro da cui è tratto questo film.
Littin, istituzione del cinema cileno, due nomination all’Oscar nel 1976 e nel 1983, fa un film sulla memoria (che, dice, “non si restaura, si risveglia”) ma soprattutto sulla dignità umana, su come non perderla nemmeno nella disperazione, su come adoperarla per sopravvivere. C’è il documento storico, la ferita che quel golpe portò al sogno e alla Democrazia, rappresentato anche da documentari dell’epoca. E c’è la piccola storia di uomini colti, di pace e buon senso, privati della libertà e che lottano per conservare almeno l’umanità. Il tutto raccontato da una fotografia livida, di ghiaccio, come il clima dell’isola. Forse eccessivamente fredda, quando proprio un minore “distacco” intellettuale e un pizzico di didascalismo in più sarebbero serviti a conquistare lo spettatore.
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