di Monica Moretti
Giro di vite a Bruxelles nei confronti dei lobbisti, ossia di società e singoli che con la loro attività di rappresentanza di interessi concorrono alla formazione delle decisioni pubbliche. A inizio maggio il Parlamento Europeo ha approvato il Registro unico Parlamento-Comissione per la trasparenza (relatore l’italiano Carlo Casini), che sarà disponibile on line entro giugno. E sta adesso cercando di inasprire il codice di condotta per eurodeputati e lobbisti.
Un’accelerazione arrivata dopo che dei giornalisti del Sunday Times si sono spacciati per lobbisti e hanno offerto ad alcuni parlamentari somme di denaro per far approvare provvedimenti verosimili ma inventati di sana pianta. Registrazioni e video hanno permesso di incastrare tre eurodeputati: un conservatore austriaco e due socialdemocratici, uno sloveno e uno romeno.
“Mentre nei parlamenti nazionali ci sono norme specifiche di comportamento, qui a Bruxelles e a Strasburgo, non abbiamo un quadro globale – ha spiegato il presidente dell’Europarlamento, il polacco Jerzy Buzek -. Ora che il Parlamento ha guadagnato poteri in seguito al trattato di Lisbona è necessario anche un codice di condotta diverso”. A essere prese in esame per redigere il regolamento, le normative applicate in otto Paesi membri, tra cui Francia, Finlandia e Regno Unito. Italia esclusa.
Da noi, infatti, l’attività del lobbista non è oggetto di alcuna legge, regolamento o codice di condotta parlamentare. Dal ’48 a oggi sono una trentina circa le proposte di legge che hanno cercato di regolare l’attività dei lobbisti (a cui si aggiunge anche un disegno dei legge varato dal secondo governo Prodi), ma nessuna di queste è mai arrivata in aula.
“In Italia – spiega Giovanni Guzzetta, direttore del Master in processi decisionali e lobbying dell’Università di Tor Vergata – c’è pudore a parlare di lobbisti, e in questo modo si rimane nell’opacità”. Eppure la rappresentanza di interessi esiste in tutte le grandi democrazie. “Le lobby sono determinanti soprattutto nella fase iniziale di assunzione delle decisioni – continua Guzzetta -. Nel tempo la cultura delle rappresentanza di interessi è molto cresciuta: oggi non fanno attività di lobbying solo le grandi multinazionali, ma anche le ong, le associazioni, le Regioni”. Nel suo libro “Eurolobbisti” (Mursia, 2011), Matteo Lazzarini, annovera tra le lobby attualmente iscritte presso la Commissione Ue colossi come Copa-Cogeca (la rappresentanza di interessi degli agricoltori europei), che conta 50 dipendenti e dichiara di spendere nell’attività di lobbying più di 1milione di euro l’anno, ma anche la sezione di Cosenza del Movimento federalista europeo che di euro nel spende 290, o il Consorzio molluschicolo polesano.
Potenzialmente ogni soggetto portatore di interessi è un lobbista, anche una piccola associazione che opera a livello locale e con la sua attività riesce ad influire sulle decisioni di sindaco e consiglio comunale. Se a Bruxelles “le lobby sono più di 2.000 e lobbisti circa 5.000”, come racconta Matteo Lazzarini, “in Italia coloro che fanno in maniera costante questa attività sono tra le 1.000 e 2.000 persone” spiega Giuseppe Mazzei, direttore Relazioni istituzionali del gruppo Allianz e presidente dell’associazione ”Il Chiostro, per la trasparenza delle lobby”. I più grandi hanno un fatturato a sette cifre: come Reti Spa di Claudio Velardi, o Cattaneo Zanetta &Co.
“Il lobbista – continua Mazzei – è il portatore di interessi della propria azienda e interviene nei processi decisionali. Deve saperlo fare individuando le procedure e gli argomenti giusti nonché i ruoli istituzionali più adatti a cui rivolgersi”.
“In Italia c’è un’assoluta mancanza di regole. C’è il Far West: molte volte non si sa chi sono gli altri lobbisti e i decisori non capiscono neppure chi hanno davanti” denuncia Mazzei, che con la sua associazione si batte da tempo per arrivare ad un regolamentazione del settore. “Noi auspichiamo l’approvazione di una legge nazionale, anche perché nel frattempo le Regioni hanno fatto le loro leggi, e ne serve una nazionale che detti a tutti gli stessi principi: diritti e doveri del lobbista, un registro nazionale, un codice etico. Non ci devono più essere figli e figliastri. Adesso invece c’è chi ha accesso privilegiato alle istituzioni (ex parlamentari, funzionari, giornalisti parlamentari) e chi no”. La trasparenza permetterebbe inoltre, secondo Mazzei, “di far emergere una professione che non ha niente a che fare con il malaffare”, sollevando quel velo di opacità di cui parlava Guzzetta. “Magari – ammette Mazzei - qualcuno dà qualche bustarella. Ma quello non è un lobbista, è un corruttore, fa un altro mestiere e deve essere punito ai sensi del codice penale”.