L'allarme del Censis


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'Indignados sì, ma al ristorante'

Fenomenologia di una crisi antropologica v

di Rita Piccolini

Giovani sempre più imprigionati nel presente, con uno scarso senso della storia, senza visione del futuro, e senza voglia di rischiare. E' quanto emerge dal rapporto Censis, "Fenomenologia di una crisi antropologica. Il rattrappimento nel presente", presentato a Roma. Al desiderio si è sostituita la voglia, alle passioni le emozioni, al progetto l’annuncio. In un mondo dominato dalle emozioni, conta solo quello che si prova nel presente, non la tensione che porta a guardare lontano.

E’ lo stesso professor Giuseppe De Rita a suggerire il titolo ai giornalisti presenti, commentando nella sede dell’istituto di ricerche sociologiche i dati del rapporto sul disagio antropologico in cui versa il nostro Paese. “Ai giornalisti presenti mi permetto di suggerire il titolo per il loro articolo. Gli indignados al ristorante” dice ironicamente De Rita. “Cosa intende professore?”. La domanda è d’obbligo.”Che si è sempre più indignati, ma non si agisce” spiega il professore diventando improvvisamente serissimo. Gli italiani sono maestri nel mettere in moto meccanismi di protesta che non si concretizzano. La sacrosanta indignazione non si trasforma in progettualità, è auto-consolatoria, è emozione che trova la propria giustificazione d’essere nel momento in cui si manifesta, ma lì si ferma, e questo ci costringe a vivere in un eterno presente che non costruisce il futuro. E tutto ciò è drammatico, soprattutto per le nuove generazioni che sembrano aver perso la voglia di combattere per cambiare la loro condizione e che si adattano al presente subendolo, perché “intanto tutto è inutile”. A questi giovani non è stato insegnato a costruire grado per grado la propria vita, a perseguire un obiettivo con fatica, determinazione, costanza, agendo giorno dopo giorno per raggiungerlo. Tutto si riduce al “qui e ora”, che non diviene mai costruzione del domani. Il ricercatore Giulio De Rita racconta un episodio emblematico. Davanti a un gioco in cui è necessario usare l’acqua, una mamma moderna e attenta spoglia il figlio affinché non si bagni e lo incoraggia a intraprendere le fasi del gioco. La mamma presentista spoglia il bimbo e lo introduce immediatamente nella piscina finale, affinché goda subito dell’effetto del gioco, senza fargli attraversare i vari gradi e superare le difficoltà. Ecco è questo quello che in parte è successo alla maggioranza dei nostri giovani.

Nella crisi antropologica che investe la società, non avere visione del futuro significa concentrarsi sulla conservazione dell’esistente, cioè sul tenore di vita a cui siamo abituati. Così, nel tempo, la quota di risorse destinate ai consumi aumenta più della quota destinata agli investimenti. Dal 1990 ad oggi, si legge nel rapporto, i consumi nazionali sono cresciuti del 22% mentre gli investimenti solo del 12%. Negli ultimi 10 anni i consumi sono cresciuti del 7% mentre gli investimenti sono scesi dell’1%. Ecco cosa significa “Indignati al ristorante”: che si vive per l’oggi, per soddisfare le voglie e le pulsioni del momento, adagiandosi in una dimensione di “benessere diffuso” soddisfacente, che non spinge a rischiare per trovare una via d’uscita. Ovviamente non si parla in questo caso delle persone che perdono il lavoro, che vanno in Cassa integrazione, che vivono in condizioni di indigenza. Si parla invece della massa di giovani che non studia, perché non ha più fiducia nelle istituzioni scolastiche e che non investe nello studio come garanzia di una vita dignitosa e soddisfacente. Che è costretta a ripiegare su lavori momentanei, perché quelli a tempo indeterminato non esistono praticamente più, in grado di soddisfare le esigenze del presente, senza costruire nulla per il futuro. Giovani che sono costretti in queste condizioni a rimanere più a lungo in famiglia, all’interno della quale tuttavia le relazioni sono sempre più sfilacciate; che tardano a formarne una nuova, (nel 1990 l’età media del matrimonio era 25,6 anni per le donne, 28,5 per gli uomini. Oggi è di 30 anni per le donne e di 33,1 per gli uomini). Che hanno figli sempre più tardi:l’età media delle madri al primo parto è aumentato dai 27,1 anni del 1991 ai 30,8 attuali. Più in famiglia dunque, ma in una società in cui si allentano le responsabilità familiari. E’ il paradosso della nostra società.

Ma di chi è la colpa? Questi giovani sono vittime di un sistema “malato” che le generazioni precedenti hanno creato per loro, ma sono anche meno reattivi rispetto ai coetanei europei. I nostri ragazzi sono quelli che hanno meno voglia di avviare una propria attività autonoma, il 27,1 % contro una media europea del 42,8%. Persino i giovani greci e quelli portoghesi, che vivono in una congiuntura economica ben più drammatica di quella italiana, manifestano l’intenzione di creare un’impresa per il futuro: il 56,7% in Portogallo, il 41,9% in Grecia, il 53,5 % in Spagna, il 43,5% in Irlanda. E questo non solo perché è rischioso, ma soprattutto perché è “complicato”. Certo il sistema Paese rende l’avvio di un’attività autonoma particolarmente farraginosa, con regole e strettoie burocratiche a volte surreali. Ma tutto ciò che va costruito superando difficoltà sembra essere snobbato dalla maggioranza dei giovani.

Così è anche per lo studio. ”La perdita di significato della scuola è uno dei sintomi più evidenti del “presentismo” leggiamo nello studio del Censis. “I limiti dell’offerta formativa, che non garantisce il raggiungimento del successo attraverso un percorso di studi impegnativo, condiziona l’atteggiamento complessivo dei giovani italiani. E anche in questo caso siamo il fanalino di coda in Europa. I nostri figli sono quelli che danno minore importanza alla scuola: il 50% non la ritiene un investimento valido, contro il 90% dei giovani in Germania. E non credere più nella scuola è il tipico esempio di una realtà sociale senza attenzione per il passato e con poca tensione verso il futuro. L’individualismo ci insegna a fare “solo quello che ci piace” e che ci dà soddisfazione “qui e ora”. Poi si vedrà. Siamo consapevoli che i giovani domani non saranno più tali, che non troveranno lavori che li soddisfino, che non potranno crearsi una famiglia e meno che mai potranno comprarsi una casa, che non avranno una pensione e via via sempre più in basso in un crescendo di difficoltà. Siamo tutti indignati per questo, ma non si fa nulla per evitare “l’orlo del baratro”.

“Siamo grandi presentisti” commenta il direttore del Censis Giuseppe Roma. I problemi ci cadono addosso e li risolviamo, non è poco, ma non siamo in grado di anticiparli, di creare condizioni sociali per evitare che le nostre più fosche previsioni si realizzino. Questa propensione per il tutto e subito la riscontriamo ormai in tutti i campi dell’agire sociale. Nei campi più impegnativi, come gli investimenti finanziari che sfruttano le variazioni addirittura momentanee sui mercati mondiali, fino a quelli apparentemente più insignificanti, come il gioco ad esempio. Si comprano sempre meno i biglietti della Lotteria, che davano modo di sognare per mesi la possibilità di una vincita milionaria, ma si consumano in modo compulsivo i “Gratta e vinci”. Se vinci godi subito, altrimenti resti altrettanto repentinamente deluso, all’istante. Le giocate alle slot sono aumentate negli ultimi quattro anni del 70%. Così non si sogna più. Dilaga il consumo “low coast”, che fa leva sul soddisfacimento del gusto dell’acquisto più che sul prodotto in sé magari desiderato a lungo. Siamo appiattiti sul presente, persino nelle relazioni personali, persino in quelle amorose, privati della gioia di progettare.

Non va certo meglio nel mondo dell’informazione. Crediamo di saperla lunga, ma siamo bombardati sempre più da una comunicazione veloce, in pillole, ripetitiva, che fa leva sull’emotività senza molti spazi di verifica.. Ingurgitiamo news, ma non le approfondiamo. Informazione a rullo, per titoli, istantanea. Lo web zapping è emblematico di questo modo di consumare le notizie. Solo nel giro di un anno, dal febbraio 2010 allo stesso mese del 2011 il tempo medio di permanenza di un utente su una pagina web è passato da 33 a 29 secondi, a fronte di un aumento delle pagine lette da 182 a 202. Il facile accesso alle informazioni può dare l’impressione di essere sempre aggiornati, in realtà lo siamo, ma senza approfondimento. L’informazione di breve durata finisce per farci perdere di vista il senso complessivo di ciò che accade, la trama degli eventi e la comprensione dei processi nella loro articolata complessità.

In questa dimensione appiattita sul presente il desiderio è fiaccato , mancano le passioni, conta solo quello che si prova nel presente, non la tensione che porta a guardare lontano. “Se non aspiro a qualcosa che posso anche non ottenere- leggiamo sulle pagine del rapporto- se non metto in conto che non solo posso fallire, ma posso anche rischiare di perdere quello che ho, il desiderio è monco, non ha cioè la forza di rivoluzionare la mia vita, individuale e collettiva”.