La denominazione di "fiore" sardo po trebbe alludere al fiore del cardo, utilizzato anticamente in Sardegna per cagliare il latte destinato a diventa re pecorino. Molto più credibile è l'ipotesi che questo nome derivi dal fatto che, per la lavorazione, si usassero, fino a non molto tempo fa, delle forme, chiamate "pischeddas", di legno di castagno, quercia o pero selvatico, sul cui fondo era scolpito un fiore, giglio o asfo delo, che lasciava un marchio sul for maggio.
Questo fonnaggio ha una storia lunghis sima. Ancora oggi gli artigiani che lo lavorano al meglio lo producono con latte intero crudo di due mungiture di pecore di razza sarda, allevate sui pa scoli del territorio di produzione. Tali pascoli naturali, di pianura o di collina, sono ricchi di essenze medi terranee che conferiscono al latte pe culiarità e sentori vegetali intensi e riconoscibili.
Il fiore sardo è sottoposto, dopo la salatura in salamoia, ad una leggera affumicatura con legni di piante medi terranee; ciò accentua i sentori di er be aromatiche propri di questo formag gio, insieme con intensi sentori di frutta secca. Il periodo di stagionatu ra varia dai sette mesi ad un anno. La sua pasta, bianchissima all'inizio, poi paglierina, è grassa e sapida. Ottimo da tavola e da grattugia, è ingrediente fondamentale dei tipici culurgiones sardi.
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